Sono passati un po’ di anni da quando i venti forti e gelidi degli altopiani Altoatesini accompagnarono la meraviglia del ritrovamento di Otzi, l’uomo dell’età del rame, che appoggiato sul dorso a pancia in giù aspettava ormai da 5 mila anni, seppellito dal ghiaccio e ben conservato nella sua integrità.
Il DNA mitocondriale circolare delle cellule di Otsi è composto da 16233 basi azotate e in parte ha dimostrato che la progenie genetica del nostro amico mummificato tra i ghiacci non ha percorso molta strada. Otsi non è un nostro parente strettissimo. Egli fa parte di un ceppo umano ormai estinto, di una dinastia genetica lontana dalla nostra e questo è provato dal DNA mitocondriale. Il DNA mitocondriale si eredita dalle madri ai figli.
Nel momento della fecondazione lo spermatozoo, veloce e agile nei movimenti “scambia” il proprio DNA. Probabilmente per problemi di “peso” non riesce a trasmettere alla cellula uovo i mitocondri che stanno nella parte terminale, così necessari per fornire notevoli quantità di energia in quel momento.
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Quindi lo scambio del Dna Mitocondriale è minimo, forse solo un 1-2% e questo permette ai genetisti di risalire ad un albero quasi tutto femminile: tutto ciò ha permesso di calcolare le affinità tra Otsi e l’uomo moderno. Calcolando poi la percentuale di mutazioni spontanee del Dna mitocondriale si può calcolare la distanza evolutiva degli individui. I mitocondri, questi piccoli organelli fondamentali per la produzione di energia e capaci di utilizzare i composti organici per generare ATP, liberando acqua e anidride carbonica hanno varie caratteristiche e peculiarità singolari.
La storia del mitocondrio è antica e risale a circa un miliardo di anni fa, quando i mari caldi della nostra terra pullulavano ormai di organismi unicellulari, tra questi le alghe verdi azzurre erano in grado di produrre ossigeno e l’atmosfera terrestre cominciava ad arricchirsene. Alcuni batteri acquisirono nel corso dell’evoluzione la capacità di produrre energia dai composti organici utilizzando l’ossigeno, molecola che per la maggior parte degli organismi unicellulari era tossica. La cellula eucariote si formò molto probabilmente inglobando questo batterio con il meccanismo chiamato endosimbiosi.
Il mitocondrio ormai parte integrante della struttura cellulare era in grado di produrre più energia rispetto ai metodi precedenti. Ora la cellula eucariote possedeva una struttura specifica per produrre ATP con un bilancio energetico molto più vantaggioso. Dal canto suo il nuovo ospite sfruttava le capacità di protezione e di movimento tipiche delle nuove cellule.
Il Dna circolare del mitocondrio controlla i sessanta geni coinvolti nella catena respiratoria e di produzione di energia mentre il più complesso Dna della cellula si occupa di dirigere tutte le altre migliaia di funzioni di cui la cellula aveva bisogno per vivere.
Migliaia di motorini mitocondriali all’interno di ogni cellula svolgono incessantemente il compito di produrre una grande quantità di energia in maniera efficiente e originale. Ma il nostro motorino instancabile aveva bisogno di sviluppare un meccanismo perfetto per introdurre al suo interno le fonti di approvvigionamento più complesse ed energetiche come gli acidi grassi a lunga catena…e qui subentra la carnitina, le cui origini sono antiche al pari della cellula e la cui importanza per lo sviluppo di energia all’interno delle strutture biologiche è ormai assodata.
Si parlerà più avanti di apoptosi e di morte cellulare programmata, di carnitina e epigenetica. Ormai si è visto chiaramente che l’apoptosi permette alla cellula di rigenerarsi e di mantenere in equilibrio il suo ciclo vitale.
L’epigenetica costituisce la nuova frontiera per capire quanto possa essere modificata l’espressione genetica senza che cambino le sequenze del DNA. La nostra protagonista, la carnitina, entra in gioco in tutte e due i processi e vedremo in seguito in quale maniera.
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Il ruolo fondamentale della Carnitina nei processi metabolici e biochimici dell’organismo è rimasto sconosciuto per decenni fino a quando nel 1947 Fraenkel scoprì che si poteva considerare un fattore di crescita fondamentale per la larva del coleottero Tenebrior Molitor. Stive e depositi di cereali erano costantemente razziati e distrutti da questi voraci insetti in crescita e il problema della difesa delle derrate alimentari aveva spinto i ricercatori ad approfondire i meccanismi biologici di questo implacabile mini predatore di cibo vegetale.
La carnitina risultava in questo caso una simil vitamina indispensabile per l’accrescimento e la sopravvivenza dell’insetto. Questa vicenda fu un colpo di fortuna per la ricerca scientifica perché accelerò l’interesse per la carnitina e per la sua funzione correlata con il metabolismo energetico della cellula e del mitocondrio. La carnitina è presente anche in cellule prive di mitocondri, come ad esempio i globuli rossi, in questi casi molto probabilmente agisce come osmolita proteggendo le cellule dai rapidi cambiamenti del volume cellulare e della concentrazione dei soluti intracellulari.
La scoperta che alcuni soggetti hanno bisogno di supplementi di carnitina per il normale metabolismo energetico ha imposto di considerarla come un nutriente essenziale, anche se in parte viene prodotta dall’organismo stesso. Infatti, come la vitamina niacina può essere prodotta a partire dall’aminoacido triptofano, anche la L-carnitina viene in parte sintetizzata dal fegato, dai reni, dal cervello a partire dall’aminoacido lisina (non si capisce perché la prima è considerata una vitamina a tutti gli effetti e la seconda no). La sua identificazione in estratti di carne di bovino è merito di Gulewitsh nel 1905 e la scoperta della sua struttura chimica risale agli studi di M.Tomita e Y.Sendyu nel 1927. La carnitina è una poliammide ed ha una struttura molto simile a un aminoacido anche se non fa parte di quella ristretta elite di 21 aminoacidi che compongono le proteine.
ll sistema delle carnitine, indispensabile per la vita della cellula E. Starck nel 1935 individua delle analogie di struttura tra la carnitina e uno dei più importanti neurotrasmettitori del nostro organismo, l’acetilcolina. La L-Carnitina o acido N-trimetril-3-idrossi 4 ammino butirrico ha una struttura chimica simile a un aminoacido
Ma l’acido N-trimetril-3-idrossi 4 ammino butirrico, alias la nostra L-Carnitina, è appena all’inizio del suo percorso e diventerà nel corso dei decenni oggetto sempre più ambito degli studi dei centri di ricerca sparsi un po’ in tutto il mondo. Dopo le pubblicazioni di Fraenkel nel 1947 lo studio della carnitina si concentra sul metabolismo degli acidi grassi e sull’ossidazione dei lipidi.
Perchè la carnitina ha una azione epigenetica
La carnitina facilita l’ossidazione degli acidi grassi, è un trasportatore di quelli a lunga catena all’interno della membrana mitocondriale per produrre ATP, cioè energia metabolica per le funzioni principali delle cellule del nostro organismo.
Gli studi successivi effettuati da Carter confermano che la L-carnitina isolata da estratti di fegato è fondamentale per trasportare gli acidi grassi con un numero di atomi di carbonio superiore a 12 all’interno della matrice mitocondriale. Negli anni 70 si individuano i primi deficit primari di carnitina mentre altri gruppi di ricerca dagli anni 50 fino ad oggi identificano enzimi carnitina dipendenti che permettono di poter affermare che esiste un vero e proprio sistema delle carnitine coinvolto nel metabolismo intermedio della cellula.
Nel 1998 viene scoperto un carrier proteico che permette il passaggio della carnitina dal sangue al citoplasma delle cellule, L’OCTN2. Grazie all’OCTN2, trasportatore di cationi, la concentrazione di carnitina nel citoplasma della cellula è circa 10 volte maggiore rispetto al plasma e permette alla muscolatura scheletrica e cardiaca, che non è in grado di sintetizzarla autonomamente, di ricavare energia dagli acidi grassi. Soprattutto il fegato ma anche i reni e il cervello si producono la loro carnitina, si calcola che la carnitina endogena costituisca circa il 25% del fabbisogno dell’organismo. La carnitina è presente soprattutto nel muscolo (circa il 95-98%), l’1-6% nel fegato, mentre la restante parte nel liquido extracellulare.
La sintesi inizia a partire dall’aminoacido Lisina. La lisina viene trimetilata dalla metionina, altro aminoacido importante. La lisina fornisce lo scheletro di carbonio, la metionina i gruppi metilici. La reazione è catalizzata con l’aiuto della vitamina C e del ferro ridotto. Grazie alla presenza della vitamina B6 e della vitamina B3, l’idrossimetil lisina viene
trasformata in gammabutirrobetaina aldeide, e poi in gammabutirrobetaina, fino ad arrivare alla molecola di carnitina grazie sempre alla presenza di acido ascorbico e di ferro. Per potersi assicurare la giusta quantità di carnitina per l’organismo è necessario introdurla quindi con l’alimentazione. La carne di manzo, e gli alimenti di origine animale ne contengono discrete quantità. Il fabbisogno giornaliero è di circa 80 gr. Circa il 20% viene sintetizzata autonomamente…
Leggi la seconda parte: …Perchè la Carnitina ha una azione epigenetica
Questo articolo era stato scritto in ricordo del dottor Claudio Cavazza, fondatore della Sigma-tau farmaceutici. Tratto da il Giornale italiano di Tricologia, n.30 Aprile 2013 Fabrizio Fantini